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Un testo vivente - Samadhi Pada

Il primo libro degli Yoga Sutra


Consapevole che non è possibile in questo contesto “toccare” ogni elemento del primo libro, Samadhi Pada, l’unica scelta per me è radicarmi nella mia esperienza e nelle esperienze condivise in molti anni di pratica, e umilmente lasciarmi ispirare dal profumo delle intuizioni dei sutra, invitando, chi lo desidera, ad avvicinarsi al testo, non per sapere, ma per ricevere ispirazioni alla propria pratica e vita.


Inizio questo piccolo contributo all’approccio al testo di Patanjali proprio con il primo sutra del primo libro: Atha yoga-anusasam - ”Ora (che siete pronti) la capacità d’essere vi sarà rivelata”.


Lo Yoga rimanda ad una dimensione dell’Essere, l’esperienza consapevole reca con sé il senso dell’interezza. Non c’è sforzo, ma impegno e intento al bene, non c’è tensione di ottenimento (come si può ottenere ciò che già c’è, profondamente in ciascuno di noi?), non c’è apprendimento ed esecuzione di una tecnica, ma partecipazione nella resa al momento presente, irripetibile, sacro.


“Non è possibile acquisire ciò che già siamo, è solo possibile riconoscerlo. Ci si può esercitare nell’esecuzione di una tecnica, ma non ci si può esercitare ad essere ciò che si è”.(Jean Klein).


Riconoscere dunque ciò che siamo, nell’apertura incondizionata a ciò che c’è (i pensieri, le sensazioni, le emozioni, i tracciati abitudinari, i condizionamenti), sospendendo giudizio ed aspettativa: il primo, frutto del passato, la seconda, proiezione nel futuro; entrambi scappatoie o negazioni del momento presente, l’unico spazio in cui incontrare noi stessi, nella nudità dell’istante e percepire, onorare la Vita e l’Energia che ci abitano.

Ed ecco che il secondo sutra ci indica una direzione: permettere all’attività ripetitiva, rumorosa, egoica della mente di acquietarsi: Yoga citta-vrtti-nirodhah, “Essere uno diventa possibile quando l’attività (reattiva, ripetitiva) della mente si acquieta”.


Non è l’attività mentale il problema, l’ostacolo è l’identificazione con essa, non saper più distinguere tra l’attività mentale e la coscienza, perdere la libertà di Essere, e poter sentire, scorgere una dimensione oltre le proprie storie personali, il dovere o il non dover essere. Il sutra ci invita ad osservare il funzionamento della mente nei vari momenti ordinari (sul tappetino, nella quotidianità in tutte le sue sfumature) e grazie all’esserne testimoni (drastuh) accedere alla dimensione vasta, quieta e libera dell’Essere.


E’ necessario un atto di presenza, di risveglio dall’offuscamento e ingombro dell’ego. E’ necessaria una pratica, un addestramento intenso, un’osservazione rivolta verso sé stessi, affettuosa e vigile, liberi dall’identificazione e dal coinvolgimento, ma nutriti da una partecipazione attenta, di cura alla Vita. E’ il dodicesimo sutra che ci illumina riguardo al percorso: Abhyasa-vairagyabhyam tan-nirodhah, “L’interruzione delle Vritti ha luogo grazie ad un’osservazione di sé allo stesso tempo intensa e libera da implicazioni emotive”.


Nel sutra 17 Patanjali ci dice che lo stato di consapevolezza ci permette di avere una conoscenza diretta delle cose, di percepire il senso di gioia e di confluire in un puro sentimento d’essere: Vitarka-vicara-ananda-asmita-rupa-anugamat-samprajnatahmita. Vale la pena soffermarci sul significato di alcune parole di questo sutra, che è un canto alla presenza, a riconoscere la vera Natura di noi stessi e di tutto. Vitarka è la comprensione deduttiva, il discernimento non determinato dalle esigenze dell’Io; vicara è la conoscenza di prima mano, diretta, riconoscere le cose così come sono; ananda, la gioia senza oggetto, indipendente dagli eventi, la gioia di Essere; asmita è la coscienza dell’io-sono, della propria esistenza individuale; rupa, la forma; anugamat significa percorso, indica la gradualità nell’evoluzione dello stato di coscienza; e infine samprajnatah, l’aspetto di samadhih caratterizzato dalla consapevolezza che poggia su relazioni di prima mano con la realtà. Ogni parola è vibrazione che ci conduce a casa in noi stessi.


Sul tappetino, sul cuscino, da soli o con il gruppo ogni respiro, ogni gesto è celebrazione, semplice, chiara, immediata. Dall’ ”essere per qualcosa o per ottenere qualcosa o per rifiutare qualcosa” all’essere senza condizioni. Così si accende, sboccia quella capacità già presente di ascolto, fondamentale per com-prendere finalmente con l’intelligenza del cuore chi siamo, premessa fondamentale per com-prendere gli altri. Non è un sapere, è un sentire, esserci. Nel gesto, nell’intenzione di ascolto, di presenza sul nostro tappetino, offriamo un contributo concreto alla gioia, alla pace, diritto di nascita di ogni essere e del nostro pianeta.

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