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Un testo vivente - Sadhana Pada

Il secondo libro degli Yoga Sutra

 

Continuiamo insieme il percorso attraverso i Sutra di Patanjali. Siamo al secondo libro, Sadhana Pada, che ci indica i mezzi per attuare la trasformazione, la liberazione dalla sofferenza, la realizzazione di ciò che già siamo.


Sadhana in sanscrito significa “percorso” e “strategia”.

Per incamminarci in questo viaggio di cambiamento, è necessario affinare con disponibilità, impegno e gentilezza la capacità di ascolto affinché i passaggi della sadhana, l’Ashtanga Yoga (gli otto aspetti che costituiscono la strategia) non restino nella dimensione dei concetti, delle tecniche, ma penetrino come sorgente vitale in noi stessi, nella nostra vita quotidiana, nutrendo e sostenendo la capacità presente in ciascuno di noi di realizzare la propria vera natura.


Ascoltare innanzitutto come le cose avvengono in noi. Non ci è chiesto di essere altro da ciò che siamo. Ascoltare ci permette di riconoscere le abitudini, i condizionamenti automatici, la predisposizione al giudizio (innanzitutto verso noi stessi), alla storia che ci raccontiamo invece che all’incontro con ciò che è.


Ascoltare ci aiuta a scoprire come siamo, ad accettare, essere in amicizia con noi stessi. Da lì si aprono spazi aperti, lo stupore di un gesto, di un sentito è permesso dallo spazio che sboccia interiormente e che consente il cambiamento. Altrimenti, permanendo il vecchio ordine, il sistema nervoso continua a veicolare le stesse modalità.


Gli Yoga Sutra, come gli insegnamenti del Buddha, tracciano una direzione di consapevolezza per riconoscere, accogliere, superare la sofferenza umana. Nel secondo libro veniamo introdotti ai cinque fattori di sofferenza, i Klesha: avidya, l’ignoranza, o meglio, non conoscenza, l’incapacità di vedere le cose come sono; essa produce atteggiamenti interiori quali l’attaccamento, raga, l’avversione, dvesah, che generano il senso dell’”io-mio”, asmita, l’identità fondata sulla sensazione e credenza di esistere come entità separate, e l’avidità, abhinivesah.


Avidya, la causa prima di tutti i Klesha, ci porta a scambiare ciò che è impermanente con ciò che permane, a non essere consapevoli della realtà dell’impermanenza di ogni fenomeno, generando così sofferenza. Per inciso, ricordo che nell’insegnamento del Buddha i tre ostacoli (o veleni) per la liberazione dalla sofferenza e la realizzazione di una vita in contentezza e libertà sono proprio l’ignoranza o non conoscenza, l’attaccamento e l’avversione.


Prima di percorrere gli otto passi della Sadhana, portiamo l’attenzione al termine Drasta ( da drstr, la pura energia di visione), che è puro atto di consapevolezza, ciò che in noi riconosce, che si manifesta ogni qual volta siamo in relazione col percepibile (sutra 20). Questo sutra rivela l’orientamento e la pedagogia della pratica Yoga, la possibilità di cogliere, al di là delle sensazioni connesse alle posture, quelle informazioni che rivelano l’atto di presenza stesso. La coscienza “io-centrico” naturalmente si amplia oltre le modalità ordinarie e la pratica è un’opportunità per esplorare il potenziale della coscienza che ognuno sente agire in sé, momento dopo momento.


E’ un addestramento per risvegliare viveka, la capacità di discernimento, di cogliere la natura delle cose e permettere il dissolvimento di avidya. E’ un processo costante, nulla è dato per scontato, un processo sostenuto da una crescente fiducia, disponibilità ad affidarsi a ciò che è, la vita. E’ un atto d’amore.


L’ashtanga yoga è costituito da otto parti che non sono in sequenza lineare, ma circolare, multidirezionale, ciascun elemento contiene in sé tutti gli altri :

Yamah o principi di vita; un’attitudine alla non violenza (ahimsa), all’essere veri, autentici (satya), al non impossessarci di ciò che non ci appartiene (asteya), all’indirizzare le proprie energie verso la comprensione dell’Essenziale (brahmacarya), al non essere avidi (aparigrahah).


Yamah è un campo di osservazione e comprensione di sé attraverso i processi in atto nella relazione con gli altri.


Nyamah concerne la qualità della relazione con noi stessi, la consapevolezza della nostra struttura interiore, un faro per permetterci di essere in consonanza con la nostra natura profonda. Essi sono : l’autenticità (sauca), la contentezza, l’appagamento (samtosa), il fervore, l’impegno (tapah), la conoscenza diretta ed intuitiva di sé (svadhyaya), il senso di appartenenza a ciò che tutto permea, riconoscersi parte del tutto (isvara-pranidhanat).

Yamah e Nyamah non sono un codice di comportamento o precetti, regole, ma a un livello sottile descrivono la struttura dell’IO, asmita, l’identità basata sulla storia personale che ci raccontiamo. Sono addestramenti a divenire consapevoli ed incarnare la realtà dell’impermanenza e dell’interconnessione.


Arriviamo al sutra 46 del secondo libro. E’ importante sentire l’interdipendenza di ogni elemento dell’ashtanga yoga :” Sthira sukkam asanam”. Asana è stabilità libera da tensioni, non è una postura del corpo, è uno stato, “essere così”, è abitare la propria postura. Asana può essere stabile (sthira) e nello stesso tempo senza tensione, nell’agio (sukkam). E’ uno scorcio alla dimensione del non dualismo, dell’interezza.


A seguire il sutra 47, “ Prayatna saithilya ananta samapattibhyam” . la rinuncia a stare con forza nella postura consente di ritrovare una dimensione senza confini. Non lo sforzo, quindi, ma la rinuncia di esso che è resa, abbandonarsi con fiducia al flusso che tutto permea, “la rinuncia dello sforzo volitivo per uno stato di equilibrio e infinità” (Gerard Blitz).

In questo stato (meditativo) non siamo più governati dal conflitto, dal dualismo, dal paragone e sorge la condizione pe Pranayama : il prana è sia il “soffio”, l’aria inspirata ed espirata, sia l’energia messa in atto dall’atto respiratorio, l’energia di vita che anima il corpo.


Il sutra 49 ci dice che date le condizioni di cui sopra accade la sospensione dei movimenti disordinati della respirazione. Corpo e mente uniti, connessi nel respiro accedono ad uno stato naturale di equilibrio, pace: ciò che vela la luce si dissolve e la mente sviluppa l’attitudine a mantenere stabile l’attenzione, non c’è più dispersione.

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