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Caratteristiche della pratica nel Raja Yoga

dall’introduzione a “Gli Yoga Sutra di Patanjali”

a cura di: Moiz Palaci e Renata Angelini


La pratica è introdotta nel secondo libro degli Yoga Sutra di Patanjali, Sadhana Pada. E’ chiamata Ashtanga Yoga e ha alcune caratteristiche su cui vale la pena soffermarsi.


La prima è quella di porre l’accento del lavoro sul vissuto. Nell’Ashtanga Yoga nessuna indicazione viene data circa specifiche posizioni o tipi di respirazioni da adottare, nulla viene detto circa gli effetti delle diverse posture. Ciò che viene suggerito riguarda il modo d’essere, il vissuto in Asana e Pranayama.


Altra rilevante caratteristica della pratica: non si tratta di cercare di eseguire posture sempre più difficili. Sovente nella pratica dello Yoga sembra prevalere l’orientamento verso posture sempre più impegnative e complesse. La bravura del praticante viene fatta dipendere dalla complessità delle posizioni. L’indicazione contenuta nei Sutra appare assai diversa. Gérard Blitz la segnalava con queste parole : “Non dal facile verso il difficile, bensì dal grossolano verso il sottile”. Questa prospettiva sposta completamente il senso della pratica e, per certi versi, lo rende anche più celato. Dal “facile al difficile” esprime un modo di procedere legato ai nostri schemi ordinari. Dal “grossolano al sottile” comporta invece l’entrata in gioco della nostra capacità di ascolto. E’ una variazione radicale nell’orientamento della pratica, un affinamento progressivo delle capacità di lettura che conduce a cogliere aspetti via via più sottili delle nostre esperienze corporee e nelle loro ripercussioni sulla sfera mentale.


Terza caratteristica: ci viene chiesto di stabilire una relazione con le cose che osserviamo. L’essenza della pratica non è eseguire, bensì essere in relazione, in rapporto con quanto facciamo. Quando ci limitiamo ad assumere delle posture, facilmente copiamo forme esteriori. Quando stabiliamo una relazione con il corpo, cominciamo anche a tener conto delle sue realtà e a rapportarci con le sensazioni che continuamente esso manifesta. Similmente quando parliamo di Pranayama non ci riferiamo tanto a esercizi respiratori quanto alla relazione che intratteniamo con le sensazioni legate al respiro, le stesse che ci consentono di distinguere un inspiro da un espiro, di percepire il variare della pressione polmonare, lo stiramento dei muscoli respiratori, il passaggio dell’aria nelle narici. Sempre e solo sensazioni.

Esiste un quarto elemento di rilievo nella pratica dell’Ashtanga Yoga: ogni esperienza corporea, respiratoria o mentale include simultaneamente diversi piani: corpo, stato mentale e ascolto. Non esiste una pratica che non li coinvolga contemporaneamente. Ogni volta che avviciniamo un aspetto della pratica, tutti gli altri sono chiamati in gioco, ogni parte è unita alle altre e tutto è connesso a tutto.


La pratica rivela l’esistenza di molti livelli di attenzione. Praticando ci si rende conto di come la coscienza ordinaria sia instabile, operi in maniera effimera e approssimativa, di come il rapporto con gli eventi sia condizionato dalla memoria, dalle informazioni precedentemente accumulate (che diventano opinioni e idee che costruiamo sulle cose). Il rapporto che di norma intratteniamo con noi stessi e con la realtà è un rapporto indiretto: fatto di relazioni e acquisizioni di “seconda mano”.


E’ difficile migliorare la qualità di ascolto se non cominciamo a scoprire che esiste un rapporto di “prima mano”. Questo aspetto è di primaria importanza nel percorso dello Yoga. Più si lavora in modo sottile più ci si accorge che, per ascoltare in maniera autentica, bisogna “esserci”.


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